I giovani di questo paese

“Impetuose e personali impressioni mi hanno spinto a parlare di questa nostra attualità. La nostra, sì, e di chi altro? Siamo noi giovani: studenti, universitari, auspicabili lavoratori e intraprendenti italiani. Noi, tutti noi che siamo (che componiamo materialmente e che creiamo immaginariamente) la nostra società. Questo inestricabile,Immagine

pericoloso e feroce rapporto che lega tutti quanti per creare un unico grande mostro. Essere mitico, Leviatano formato da infinite anime, contraddizioni e assurdità. Noi stessi siamo inevitabilmente parte di questa belva meschina pronta ad attaccarci, sorprenderci e distruggerci; come può anche capitare il contrario… (siamo noi ad attaccare e annullare – virtualmente e metaforicamente – un altro pezzo della chimera). Lo facciamo, purtroppo, senza neanche rendercene conto direttamente. Questa è una visione della società moderna che richiede una profonda ricosiderazione della nostra condizione e funzione al suo interno, e qui arriviamo al punto: qual è il compito dei giovani nella loro attualità? La risposta dei giovani in tutto il mondo non si è lasciata aspettare a lungo, risvegliando in grandi piazze delle città sentimenti e reazioni di indignazione e risentimento nei confronti del potere politico ed economico che il “progresso” aveva sviluppato e condotto ai vertici delle organizzazioni governative. I giovani pretendono riforme, cambiamenti, novità e le trovano in iniziative fondate da altri giovani. Quello che dobbiamo ricercare, oggi più che mai, è l’enorme capacità e potenzialità che abbiamo ciascuno di noi. Dobbiamo cercare l’originalità e la fantasia in tutto ciò che facciamo o pruduciamo, dobbiamo usare la nostra grande immaginazione per creare cose nuove e belle; siamo noi, solo noi giovani che possiamo farlo, perché non abbiamo nulla da perdere. Certo, possiamo avere grandi ideali, ma venire stroncati perché non si ha i mezzi per perseguirli, come pure avere enormi potenzialità, ma non poterle sfruttare per mancanza di strumenti. Per i giovani è frustrante; ed è qui che nasce quella forma di resistenza al vecchio sistema. Questa è l’occasione per crearne uno migliore: il futuro per noi è tutto, viviamo e progettiamo la nostra vita in funzione di tutto questo. Noi siamo il futuro (direbbe uno slogan) perché vive nella nostra fantasia, ce lo portiamo dentro con la speranza di realizzarlo, siamo noi  con le nostre idee che lo creeremo, come anche le prossime generazioni, e quelle successive. Se c’è un’anima pulsante e reattiva in questa società, sono (o dovrebbero essere!) i giovani che cercano il loro roscatto. Per questo vi dico: approfittate delle opportunità che offre ininterrottamente la scuola, non negatevi niente, e, anzi, cercatevi tutto. Sfruttate ogni esperienza al meglio, perché se non vi insegna, può sempre accrescervi come persone. Imparate e preparatevi a rispondere ai tempi difficili che vi stanno di fronte. Non nascondetevi, non negateli, ma affrontateli a testa alta! Chi ha ben seminato raccoglierà i suoi frutti. Auguro, inoltre, a ciascuno di voi, che possiate essere veramente quello che siete (Nietzsche scrisse “Diventa ciò che sei”), secondo i vostri interessi, capacità, attitudini, passioni e sogni. Sperate sempre e continuamente al miglior futuro; che possiate avverarlo voi stessi! Ad una vita felice! Ad una vita nuova!”

Queste parole (scritte non meno di due anni fa) le ho ripescate nei miei scritti, e con mio stupore e rammarico, le ho trovate ancora adesso di un’attualità sorprendente. Quali tempi sono passati! Che eventi sono trascorsi! Verità allora, come anche oggi…

AP

La letterarietà del tema “migranti”

È purtroppo alla luce dei drammatici eventi che sono accaduti sulle coste siciliane dell’isola di Lampedusa che mi sono sorte alcune riflessioni. Non mi addentro sul fatto, già troppo trucemente indagato da giornali e televisioni. È una tragedia che merita insieme meditazione e reazione, e non mi pare questo il luogo dove discuterne (o sì?…). Memore delle letture dei classici, mi è venuto naturale rapportare questi moderni eroi all’epico omerico per eccellenza. Traversate simili e in condizioni certamente peggiori, erano la consuetudine delle esplorazioni per gli Antichi, come il pericolo era sempre atteso. Le peregrinazioni di Odisseo sono una delle prime e più belle avventure che ci siano state tramandate dal mondo antico, ma il virgiliano Enea, fuggitivo troiano, meglio esemplifica le disgraziate vicende attuali. Con questo Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.) intendeva fondare miticamente le radici della gens Iulia, che con il Divus Augustus, si impose nella vita politica del neonato Impero. Un’espatriato famoso scampato appena dall’insidia del Cavallo e dall’incendio di Ilio, che si porta sulle spalle il vecchio padre Anchise e il figlioletto Ascanio, venne assunto per legittimare il potere della famiglia Giulio-Claudia. Un’esule, con la propria famiglia; questo venne scelto come simbolo di nobilitazione ed elevazione aristocratica. Paradossalmente anche lui in esilio dalla sua patria perduta nella guerra, un migrante alla ricerca di una nuova casa, di una nuova terra dove trapiantare le sue radici. Cos’altro potrebbe condurre alle nostre porte (alle “porte d’Europa” si è anche detto) se non il sogno e la speranza di una vita, non dico migliore, ma almeno rispettabile e civile. La nostra civiltà, che amiamo definire occidentale, viene volentieri distorta ed esagerata dai nostri stessi mezzi di comunicazione, che creano aspettative paradisiache di gran lunga molto meno lusinghiere di quanto invece sia la cruda realtà della strada. E quali mezzi hanno i nostri amici per discernere quel che è vero e quel che viene fintamente creato dai media? Sicuramente meno del nostro ancora più assuefatto senso critico. E perciò spinti da questa meravigliosa chimera intraprendono viaggi faticosissimi, dolorosi, perdendo ogni sicurezza in una casa, lavorando come schiavi per sfamarsi e continuare la loro strada, attraversano stati interi, contando solo su se stessi, e lottando contro sfruttatori senza scrupoli pronti ad approfittarsene, stipandoli in relitti galleggianti, non risparmiandogli nemmeno il rischio (ormai familiare) di una morte atroce. La disperazione che li porta a tali pericoli la dice lunga sulle condizioni di guerra e miseria dalle quali fuggono. Rischiano la vita per poter di re di vivere finalmente. Ma a quale prezzo. L’ultimo ostacolo che gli si frappone è un mare di acqua. Apparentemente niente di più lontano dalla vita, in cui credono fermamente e alla quale sono attaccati come ad una mamma. La tappa più ardua del viaggio a cui sono giunti dopo mille peripezie, è quella che li separa dalla salvezza o dalla morte per annegamento. Hanno attraversato il loro inferno, hanno superato ostacoli che minacciavano sempre il raggiungimento della loro meta, conosciuto universi di paura e rovine, e non possono dirsi mai sicuri. Quello che, una volta gettati in acqua gli scafi, li attenderà sarà soltanto un nuovo punto di partenza, da cui ricominciare da capo un nuovo viaggio, una nuova avventura, una nuova vita. Partiti senza speranza di sopravvivere, hanno visto e incontrato faccia a faccia la morte, affrontandola e vincendola, rinascendo alla speranza di felicità. Speranza? Quale speranza si può trovare nei capannoni di immigrati dove ci parcheggiano in attesa di ordini? Felicità? Non vedo persone contente intorno a me a festeggiare l’approdo. Non vedo considerazione nello stato che ci ospita. Non vedo allegria nei volti dei morti sulla spiaggia. L’ultimo viaggio li ha portati, cullati in grembi di legno, a dover patire nuove pene d’inferno. Dov’è la giustizia, dov’è la carità, la cordialità, l’ospitalità? Dove sono finiti quei valori di accoglienza e inclusione che hanno fatto un tempo la grandezza di un impero? Se pretendessimo noi  il rispetto che merita qualsiasi uomo, nei confronti anche dei Nostri antenati migranti (si veda l’ “America” kafkiano), dovremmo far subire loro le stesse sorti? Chi prenderebbe le tue parti se andassi in un paese ostile? A noi spetta il compito, ingrato oppure onorevole, di prendercene cura, di guidarli rettamente e di proteggerli nella loro nuova vita, florida di possibilità. Responsabilità che nessuno più vuole accollarsi per fedeltà al partito e per disinteresse manifesto. Umanità che è urgente risvegliare in noi. Nessun altro libro può insegnarci come vivere e far vivere in comunione di intenti, volti ad un ideale di società aperta, libera e sana. Ricordiamoci chi siamo. Ricordiamoci chi eravamo, e guardiamo a cosa possiamo diventare insieme. Senza arroganza e senza fraintendimenti, invoco la benedizione di tutti quei naviganti, che da tutte le epoche e tutti i paesi potevano dire alla luce delle stelle: mare Nostrum.

AP

Brezza di mare

Immagine

“Era novembre, e come quando non so cosa fare, vado in spiaggia. Era deserta, come ci si poteva aspettare, in una giornata autunnale. C’era ancora un vento forte, che veniva dal mare. Era la brezza che ti soffiava in faccia la salsedine, ricca di presagi, che non portano nè al bello, nè al brutto tempo. Accarezzava le dune ricoperte di ammofileti e scuoteva le lontane pinete, creando un sottofondo presente, ma silenzioso. Il colore del cielo era spento, opaco, come il freddo che si faceva sempre più sentire. Del pallore che mi circondava, niente avrebbe potuto ricondurmi ai ricordi colorati e vivaci delle estati lontane. Certo, tutto ora era più naturale. La natura selvaggia di quel posto era messa a nudo dall’assenza della folla brulicante e chiassosa. Non c’è traccia di nostalgia, la spiaggia è anche così: un baraccone chiuso con lunghissime distese di sabbia rugosa. Una pagina bianca o imperscrutabilmente scritta. Dei gabbiani avevano lasciato delle scie di impronte. Anche il mare era più freddo. Nella battigia le onde avevano lasciato i consueti rifiuti, insieme a qualche grumo schiumoso di alghe. Riguardai indietro il percorso delle mie orme, formare una linea che si allontanava ubriaca. Ascoltai il vento e le nuvole, rimboccandomi rabbrividendo il cappotto e godendo di questa povertà. Insieme al sapore dell’aria erano mescolate le aromatiche essenze marine, spruzzate dalle creste che si scioglievano nella sabbia grigia. Le ricamate forme delle nuvole multiformi risaltavano sulla piattezza monocroma e incorniciavano quell’unico paesaggio che si estendeva fino ai limiti dell’orizzonte, perdendosi nei suoi confini.”

AP

Uscire alle due di mattina è stata la miglior scelta che potessi fare!

A notte fonda sembra tutto così surreale, perché non c’è un cane in giro (a parte, vabbe’… leggete) e sono quasi sordo da un orecchio (il sinistro, ndr) e gli unici rumori che sento sono la ventola del condizionatore d’aria su incima nel nostro terrazzo e il leggero soffio del mio orecchio – nemmeno i fulmini bianchi e celesti fanno rumore!

Sono uscito in giardino, ben sapendo che non sarei andato lontano visto il cielo:
Ho visto fulmini luminosissimi a est. Il tempo fa scintille.
Ho appoggiato chiavi e cellulare agli scalini.
Ho camminato qualche metro.
Ho fatto una pisciatina all’angolo della siepe.
Mi sono girato, e camminando ho osservato ancora il cielo dietro le case e gli alberi.
Fermo
cammino verso il cancello delle macchine
WTF
c’è un cane
(noi non abbiamo un cane, nessun nostro vicino ha un cane, non ho mai visto quel cane prima!)
è bello grosso anche.
E’ girato di spalle, impegnato a leccare qualcosa, così indietreggio senza voltarmi sperando di non farmi notare
ma fuck! sposto delle foglie delle piante di mia nonna e lui mi sente. Si gira d’istinto incuriosito a guardarmi; lo leggo nei suoi occhi che è genuinamente incuriosito – che cosa ci fa un umano di notte in giro?
Ma io mi chiedo che cosa ci faccia lui lì

Continua a seguirmi, fissandomi con due occhioni enormi e umidi, e io continuo a indietreggiare, facendogli sshh buono cane – è senza collare, per questo mi preoccupa, potrebbe essere un randagio
Lentamente raggiungo gli scalini, mentre lui si è fermato davanti al cancelletto e continua a fissarmi; raccolgo le mie cose, chiavi e cellulare, scivolo dentro il portone delle scale e chiudo
– Buonanotte cane! –

Forse è il caso che vada a letto, ho le allucinazioni
——————————————————————————————————————————————————–
Sembra stupido eppure quest’esperienza è proprio ciò che cercavo, un’avventura, diversa dal solito, che rompesse la routine quotidiana, qualcosa da raccontare anche se all’apparenza – solo all’apparenza – banale. Chi si sarebbe mai aspettato di trovarsi un cane sconosciuto in cortile alle due di notte? E come ci sarebbe entrato poi?
La notte rende tutto molto più intenso. Paulo Coelho ha scritto: “l’Amore è un atto di infinito coraggio”; il coraggio di uscire dagli schemi, di fare cose per cui gli altri ti guardano strano o ti sconsigliano, di uscire in piena notte dal portone delle scale a guardare il tempo turbolento e immaginarsi liberi ad urlare sopra il vento, sopra l’urlo della bufera.

Di notte il nostro cuore stanco si abbandona all’idea che non ci sia altro che amore – perché di notte è così: niente scuola, niente lavoro, solo amici, solo amore.
E di notte il nostro cervello si rende finalmente conto che tutto questo è vero, che non esiste altro al mondo, nelle nostre vite, che amore che regge in piedi tutto.

Non so bene descrivere che cosa ho provato questa notte, se non con queste parole; ci sono persone che si innamorano della notte, e di quello che rappresenta e mette a nudo, cioè l’essenza più intima dell’essere umano, la sua vera natura.

Su How I met your Mother dicono: “Niente di buono accade dopo le due di notte!” … oppure qualcosa sì?

(11 Agosto 2013)

Continua a leggere