Steve Roggenbuck e l’Internet Poetry

Poetiche della contemporaneità

Come si può fare poesia nell’era informatica, dove Internet e i social network fanno ormai parte integrante nella quotidianità di gran parte della popolazione? È diventato davvero un problema fare poesia con i mezzi di comunicazione di massa più diffusi al mondo? Per avere qualche dato: solo 1,97 miliardi di persone hanno navigato nel World Wide Web nel 2010 e tutti i moderni dispositivi (telefoni, cellulari, smartphone, tablet, I-phone, I-pad, Kindle, ecc.) possono connettersi alla rete, l’aumento dei contenuti e dei servizi offerti dal Web, unito alle modalità di navigazione sempre più usabili e accessibili e al boom di diffusione della nuova tecnologia agli inizi del 2000 hanno permesso un accesso Internet in ogni casa, o quasi. Questa rivoluzione non ha soltanto influenzato e modificato i nostri stili di vita, ma ha avuto una considerevole influenza sociale e culturale in molti settori. Uno di questi possiamo intenderlo come un certo modo di fare poesia, e finora in Italia ha avuto ancora poca eco, come gran parte delle avanguardie fuori dai nostri confini, ma in America fare poesia attraverso Internet è molto più che un’ipotesi.

Vorremmo introdurvi con questo piccolo articoletto al variegato mondo dell’Internet poetry, e delle diverse realtà ormai collaudate e con più di un autore a suo carico. Tra questi ci è sembrato il più interessante e significativo Steve Roggenbuck, poeta, blogger e youtuber, classe ’87, originario del Maine, e autore di qualche raccolta di poesie rigorosamente auto-pubblicate.

I suoi video, i suoi testi e la sua attività in generale trasmette e diffonde in nuce le nuove poetiche che sono nate nelle eclettiche coste oltreoceano. Il contesto culturale più florido dove fioriscono queste correnti letterarie alternative (Alt lit, o Alternative literature) sono le grandi città metropolitane (prime fra tutte New York, dove nei caffè e nei locali più ricercati ̶ uno fra tutti: il Nuyorican Poets Cafe ̶ si riuniscono periodicamente gruppi di lettori, poeti, scrittori e appassionati per leggere, farsi leggere e assistere a serate in cui tutti sono invitati a partecipare e a condividere il loro lavoro). Il linguaggio è quotidiano, spesso preso dalla strada, naturale e spontaneo, che affronta temi dalla più vicina attualità alla denuncia sociale. È in questo clima che dobbiamo immaginare raggrupparsi la comunità di poeti che si è raccolta nei social network (Tumblr, Twitter, Facebook) e intorno ai vari cenacoli che si radunano intorno ai blog di Alt lit (Alt lit Gossip, I am alt lit, Beach sloth, e altri) che diffondono e promuovono gli autori che pubblicano e/o estraggono i loro temi da Internet, dalla cultura che si crea in Internet, e che condividono il comune interesse per il mondo dell’autopubblicazione online e i new media. Editori di sé stessi, creano e gestiscono i loro volumi e le loro raccolte facendosi conoscere dal pubblico: auto-promozione, auto-pubblicazione e visibilità in Internet e nei social sono caratteristiche comuni a tutti gli autori di Alt lit.

Il considerare l’Internet come un mezzo originale di diffusione e di pubblicazione della poesia coinvolge anche l’uso che si fa del linguaggio nelle piazze virtuali. Josh Soilker, giornalista per “Vol.1 Brooklyn”, esaminando i tratti che distinguono queste nuove correnti afferma che si fa e si pubblica Alt lit nei post dei blog, in video, nelle chat, negli stati di Facebook, con i PDF e in libretti piegati artigianalmente, condividendo messaggi, macro di immagini, collage di screenshot e tweet. È proprio quello che troveremo se andassimo a visitare il sito sull’Internet poetry: schermate di computer con frasi fluttuanti, immagini apparentemente privi di collegamento a parole e testi, scritte e disegni in Paint; un contrasto di profondità e vacuità, serietà e gioco, quasi un incontro tra il peggio e il meglio di internet messi insieme.

tumblr_mvev6sP0mF1qh31n7o1_500gif by cumpo (Internet Poetry, October 29 2013)

Se non si avesse mai provato, si consiglia, a tempo perso, di visitare certi siti, certe aree del web, certi video dove ricondurre il tutto a un senso è un’operazione vana, e dove alla lontana riportano a vaghe sensazioni randomatiche che si provano davanti a certi di questi lavori. Certamente il web si è rivelato una miniera inesauribile di qualsiasi materiale (e qualsiasi è da intendersi nel significato più assoluto), dove si può trovare di tutto: di bello e di brutto senza alcuna distinzione, passando dal serio al banale in un clic. È un sentimento da internet quello che traspare dopo un po’ di confidenza; un sentimento digitale, un’emozione che ostenta tutti i suoi pixel e i suoi byte, fiera di appartenere alla rivoluzione cybernetica. Il mezzo diventa lo strumento per trasmettere emozioni nuove per il nuovo millennio, a generazioni nate con i primi personal computer, che li hanno visti crescere insieme a loro ed entrare sempre più nelle loro vite. Sono queste generazioni, con la sfacciataggine tipica di chi sa di vivere nel proprio tempo (e non perdendosi in nostalgiche rievocazioni) che compongono la maggior parte dei circoli Alt lit americani: giovani autori come Joshua Jennifer Espinoza, Tao Lin, Timothy Willis Sanders, Mira Gonzalez, Steve Roggebuck e tanti altri, consapevoli di dover approcciarsi al mondo che gli circonda e che gli accoglie.

La rivoluzione del linguaggio che ha sconvolto il mondo con le sue abbreviazioni e la sua fretta, viene sfruttato adesso per la sua immediatezza, la sua modernità e vicinanza al linguaggio parlato e agli slang (“shortened language”, linguaggio abbreviato), un sermo humilis, tanto popolare quanto democratico. La loro è una commistione di linguaggi del web: il grafico, il testuale, le immagini e i video. In particolare il linguaggio poetico è quello più influenzato dai mezzi. Steve Roggenbuck, in particolare, come tutti gli Alt lit «fa un uso marcato del discorso diretto, espressioni di doloroso desiderio e spalancata sincerità (“wide-eyed sincerity”)» scrive Kenneth Goldsmith sul “ New Yorker”. Nota, inoltre, che l’Alt lit viene solitamente scritta nel vernacolare proprio dell’Internet, con abbreviazioni, punteggiatura invertita, abbondante uso di stili tipografici e di errori grammaticali.

«Language is so cool. I can type out these shapes and you can understand me,»

(Steve Roggenbuck)

Continua poi: «mentre altri movimenti Web-based espongono testi acconciati –tagliando e copiando o dosando un vasto ammontare di dati preesistenti [è il caso, per esempio dell’Internet poetry]– Alt lit tende ad usare un linguaggio semplice, rilenvando l’urgenza e il candore di un aggiornamento di status;

«Yay! Dolphins are beautiful creatures and will always have a wild spirit. I have been very lucky because I have had the awesome experience of swimming with dolphins twice.»

 (Steve Roggenbuck)

Nessun sentimento è troppo ritrito per essere riproposto in poesia.» (“If Walt Whitman vlogged, New Yorker)

Nelle opere di Steve, i am like october when i am dead(2010), “DOWNLOAD HELVETICA FOR FREE.COM” (2011), “CRUNK JUICE” (2012), “IF U DONT LOVE THE MOON YOUR AN ASS HOLE” (2013), “Calculating How Big Of A Tip To Give Is The Easiest Thing Ever, Shout Out To My Family And Friends” (2015) si possono riconoscere per le sovracitate caratteristiche: frasi brevi, dirette, senza maiuscole né punteggiatura, con gli errori più comuni della grammatica e ortografia inglese usati in maniera creativa in frasi che comunicano un contenuto spesso banale, quotidiano, quasi fossero commenti estrapolati da un qualsiasi stato di Facebook o Twitter, ora trasformati in letteratura, in poesia, espansi in quadrati bianchi o neri con il testo in contrasto (nel mitico font Helvetica). Lui stesso ammette che la sua principale fonte di ispirazione iniziale sono stati i poeti americani Walt Whitman e Ralph Waldo Emerson, che gli hanno fornito la vocazione e lo scopo per la sua opera. Temi a lui cari, che predilige entusiasticamente, sono il Carpe diem, e l’apprezzamento del mondo naturale, tanto che definisce la sua come una “poetica del YOLO” (ovvero “You Only Live Once”: tu vivi solo una volta), e intitolando “YOLO pages” una fondamentale raccolta di autori alt lit che ha curato e pubblicato.

Ebbene? Si tratta allora di una degradazione della poesia, o sono forse le persone comuni, adesso ad essere chiamate poeti? Non è, forse, un uno svilimento della poesia come la si intende generalmente, ma un suo scorporarsi, un astrarsi nei nuovi media, insieme alla perdita di autorità dell’autore, che non rivendica più per sé la propria opera, che, in questo ideale di condivisione, di sharing, diventa pubblica, di tutti come di nessuno, anonima come gli stati dei social. Almeno, noi non la vediamo come un suo sminuimento, ma un cambiamento di valore del suo uso al giorno d’oggi, imposto o permesso dalle numerose estetiche. Smitizza il poeta e desestetizza, desacralizza il linguaggio poetico, paragonandolo e affiancandolo al popolare, un “nuovo volgare”: così come i tempi e le tecnologie cambiano, dovrà cambiare anche il modo di fare poesia.

Sappiamo che l’Italia è un paese molto legato alle tradizioni, e che non si separerà facilmente da quell’idea comune di poesia e poeta-artista ancora romantici, se non classicheggianti. Fenomeni simili, però, potremo forse paragonarli a quei collettivi di scrittori creatisi negli anni ’90 e ’00: Luther Blissett nel 1994, e la sua evoluzione, il collettivo Wu Ming (“Senza Nome”) nel 2000. Autori che rinunciando alla fama e alla fortuna editoriale (che criticano e disprezzano) privilegiano il messaggio, lo scopo e il mezzo. Qui da noi correnti simili a quelle americane non ne abbiamo ancora viste, e forse dovremo aspettare ancora prima che anche il gusto italiano si prepari ad accogliere le estrose novità del genere. Sempre ammesso, però, che siano compatibili con un gusto italiano, e non solo un frutto della troppo nuova cultura americana; o magari circola già in mezzo a noi, e non la vediamo.

AP

I giovani di questo paese

“Impetuose e personali impressioni mi hanno spinto a parlare di questa nostra attualità. La nostra, sì, e di chi altro? Siamo noi giovani: studenti, universitari, auspicabili lavoratori e intraprendenti italiani. Noi, tutti noi che siamo (che componiamo materialmente e che creiamo immaginariamente) la nostra società. Questo inestricabile,Immagine

pericoloso e feroce rapporto che lega tutti quanti per creare un unico grande mostro. Essere mitico, Leviatano formato da infinite anime, contraddizioni e assurdità. Noi stessi siamo inevitabilmente parte di questa belva meschina pronta ad attaccarci, sorprenderci e distruggerci; come può anche capitare il contrario… (siamo noi ad attaccare e annullare – virtualmente e metaforicamente – un altro pezzo della chimera). Lo facciamo, purtroppo, senza neanche rendercene conto direttamente. Questa è una visione della società moderna che richiede una profonda ricosiderazione della nostra condizione e funzione al suo interno, e qui arriviamo al punto: qual è il compito dei giovani nella loro attualità? La risposta dei giovani in tutto il mondo non si è lasciata aspettare a lungo, risvegliando in grandi piazze delle città sentimenti e reazioni di indignazione e risentimento nei confronti del potere politico ed economico che il “progresso” aveva sviluppato e condotto ai vertici delle organizzazioni governative. I giovani pretendono riforme, cambiamenti, novità e le trovano in iniziative fondate da altri giovani. Quello che dobbiamo ricercare, oggi più che mai, è l’enorme capacità e potenzialità che abbiamo ciascuno di noi. Dobbiamo cercare l’originalità e la fantasia in tutto ciò che facciamo o pruduciamo, dobbiamo usare la nostra grande immaginazione per creare cose nuove e belle; siamo noi, solo noi giovani che possiamo farlo, perché non abbiamo nulla da perdere. Certo, possiamo avere grandi ideali, ma venire stroncati perché non si ha i mezzi per perseguirli, come pure avere enormi potenzialità, ma non poterle sfruttare per mancanza di strumenti. Per i giovani è frustrante; ed è qui che nasce quella forma di resistenza al vecchio sistema. Questa è l’occasione per crearne uno migliore: il futuro per noi è tutto, viviamo e progettiamo la nostra vita in funzione di tutto questo. Noi siamo il futuro (direbbe uno slogan) perché vive nella nostra fantasia, ce lo portiamo dentro con la speranza di realizzarlo, siamo noi  con le nostre idee che lo creeremo, come anche le prossime generazioni, e quelle successive. Se c’è un’anima pulsante e reattiva in questa società, sono (o dovrebbero essere!) i giovani che cercano il loro roscatto. Per questo vi dico: approfittate delle opportunità che offre ininterrottamente la scuola, non negatevi niente, e, anzi, cercatevi tutto. Sfruttate ogni esperienza al meglio, perché se non vi insegna, può sempre accrescervi come persone. Imparate e preparatevi a rispondere ai tempi difficili che vi stanno di fronte. Non nascondetevi, non negateli, ma affrontateli a testa alta! Chi ha ben seminato raccoglierà i suoi frutti. Auguro, inoltre, a ciascuno di voi, che possiate essere veramente quello che siete (Nietzsche scrisse “Diventa ciò che sei”), secondo i vostri interessi, capacità, attitudini, passioni e sogni. Sperate sempre e continuamente al miglior futuro; che possiate avverarlo voi stessi! Ad una vita felice! Ad una vita nuova!”

Queste parole (scritte non meno di due anni fa) le ho ripescate nei miei scritti, e con mio stupore e rammarico, le ho trovate ancora adesso di un’attualità sorprendente. Quali tempi sono passati! Che eventi sono trascorsi! Verità allora, come anche oggi…

AP

La letterarietà del tema “migranti”

È purtroppo alla luce dei drammatici eventi che sono accaduti sulle coste siciliane dell’isola di Lampedusa che mi sono sorte alcune riflessioni. Non mi addentro sul fatto, già troppo trucemente indagato da giornali e televisioni. È una tragedia che merita insieme meditazione e reazione, e non mi pare questo il luogo dove discuterne (o sì?…). Memore delle letture dei classici, mi è venuto naturale rapportare questi moderni eroi all’epico omerico per eccellenza. Traversate simili e in condizioni certamente peggiori, erano la consuetudine delle esplorazioni per gli Antichi, come il pericolo era sempre atteso. Le peregrinazioni di Odisseo sono una delle prime e più belle avventure che ci siano state tramandate dal mondo antico, ma il virgiliano Enea, fuggitivo troiano, meglio esemplifica le disgraziate vicende attuali. Con questo Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.) intendeva fondare miticamente le radici della gens Iulia, che con il Divus Augustus, si impose nella vita politica del neonato Impero. Un’espatriato famoso scampato appena dall’insidia del Cavallo e dall’incendio di Ilio, che si porta sulle spalle il vecchio padre Anchise e il figlioletto Ascanio, venne assunto per legittimare il potere della famiglia Giulio-Claudia. Un’esule, con la propria famiglia; questo venne scelto come simbolo di nobilitazione ed elevazione aristocratica. Paradossalmente anche lui in esilio dalla sua patria perduta nella guerra, un migrante alla ricerca di una nuova casa, di una nuova terra dove trapiantare le sue radici. Cos’altro potrebbe condurre alle nostre porte (alle “porte d’Europa” si è anche detto) se non il sogno e la speranza di una vita, non dico migliore, ma almeno rispettabile e civile. La nostra civiltà, che amiamo definire occidentale, viene volentieri distorta ed esagerata dai nostri stessi mezzi di comunicazione, che creano aspettative paradisiache di gran lunga molto meno lusinghiere di quanto invece sia la cruda realtà della strada. E quali mezzi hanno i nostri amici per discernere quel che è vero e quel che viene fintamente creato dai media? Sicuramente meno del nostro ancora più assuefatto senso critico. E perciò spinti da questa meravigliosa chimera intraprendono viaggi faticosissimi, dolorosi, perdendo ogni sicurezza in una casa, lavorando come schiavi per sfamarsi e continuare la loro strada, attraversano stati interi, contando solo su se stessi, e lottando contro sfruttatori senza scrupoli pronti ad approfittarsene, stipandoli in relitti galleggianti, non risparmiandogli nemmeno il rischio (ormai familiare) di una morte atroce. La disperazione che li porta a tali pericoli la dice lunga sulle condizioni di guerra e miseria dalle quali fuggono. Rischiano la vita per poter di re di vivere finalmente. Ma a quale prezzo. L’ultimo ostacolo che gli si frappone è un mare di acqua. Apparentemente niente di più lontano dalla vita, in cui credono fermamente e alla quale sono attaccati come ad una mamma. La tappa più ardua del viaggio a cui sono giunti dopo mille peripezie, è quella che li separa dalla salvezza o dalla morte per annegamento. Hanno attraversato il loro inferno, hanno superato ostacoli che minacciavano sempre il raggiungimento della loro meta, conosciuto universi di paura e rovine, e non possono dirsi mai sicuri. Quello che, una volta gettati in acqua gli scafi, li attenderà sarà soltanto un nuovo punto di partenza, da cui ricominciare da capo un nuovo viaggio, una nuova avventura, una nuova vita. Partiti senza speranza di sopravvivere, hanno visto e incontrato faccia a faccia la morte, affrontandola e vincendola, rinascendo alla speranza di felicità. Speranza? Quale speranza si può trovare nei capannoni di immigrati dove ci parcheggiano in attesa di ordini? Felicità? Non vedo persone contente intorno a me a festeggiare l’approdo. Non vedo considerazione nello stato che ci ospita. Non vedo allegria nei volti dei morti sulla spiaggia. L’ultimo viaggio li ha portati, cullati in grembi di legno, a dover patire nuove pene d’inferno. Dov’è la giustizia, dov’è la carità, la cordialità, l’ospitalità? Dove sono finiti quei valori di accoglienza e inclusione che hanno fatto un tempo la grandezza di un impero? Se pretendessimo noi  il rispetto che merita qualsiasi uomo, nei confronti anche dei Nostri antenati migranti (si veda l’ “America” kafkiano), dovremmo far subire loro le stesse sorti? Chi prenderebbe le tue parti se andassi in un paese ostile? A noi spetta il compito, ingrato oppure onorevole, di prendercene cura, di guidarli rettamente e di proteggerli nella loro nuova vita, florida di possibilità. Responsabilità che nessuno più vuole accollarsi per fedeltà al partito e per disinteresse manifesto. Umanità che è urgente risvegliare in noi. Nessun altro libro può insegnarci come vivere e far vivere in comunione di intenti, volti ad un ideale di società aperta, libera e sana. Ricordiamoci chi siamo. Ricordiamoci chi eravamo, e guardiamo a cosa possiamo diventare insieme. Senza arroganza e senza fraintendimenti, invoco la benedizione di tutti quei naviganti, che da tutte le epoche e tutti i paesi potevano dire alla luce delle stelle: mare Nostrum.

AP