La letterarietà del tema “migranti”

È purtroppo alla luce dei drammatici eventi che sono accaduti sulle coste siciliane dell’isola di Lampedusa che mi sono sorte alcune riflessioni. Non mi addentro sul fatto, già troppo trucemente indagato da giornali e televisioni. È una tragedia che merita insieme meditazione e reazione, e non mi pare questo il luogo dove discuterne (o sì?…). Memore delle letture dei classici, mi è venuto naturale rapportare questi moderni eroi all’epico omerico per eccellenza. Traversate simili e in condizioni certamente peggiori, erano la consuetudine delle esplorazioni per gli Antichi, come il pericolo era sempre atteso. Le peregrinazioni di Odisseo sono una delle prime e più belle avventure che ci siano state tramandate dal mondo antico, ma il virgiliano Enea, fuggitivo troiano, meglio esemplifica le disgraziate vicende attuali. Con questo Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.) intendeva fondare miticamente le radici della gens Iulia, che con il Divus Augustus, si impose nella vita politica del neonato Impero. Un’espatriato famoso scampato appena dall’insidia del Cavallo e dall’incendio di Ilio, che si porta sulle spalle il vecchio padre Anchise e il figlioletto Ascanio, venne assunto per legittimare il potere della famiglia Giulio-Claudia. Un’esule, con la propria famiglia; questo venne scelto come simbolo di nobilitazione ed elevazione aristocratica. Paradossalmente anche lui in esilio dalla sua patria perduta nella guerra, un migrante alla ricerca di una nuova casa, di una nuova terra dove trapiantare le sue radici. Cos’altro potrebbe condurre alle nostre porte (alle “porte d’Europa” si è anche detto) se non il sogno e la speranza di una vita, non dico migliore, ma almeno rispettabile e civile. La nostra civiltà, che amiamo definire occidentale, viene volentieri distorta ed esagerata dai nostri stessi mezzi di comunicazione, che creano aspettative paradisiache di gran lunga molto meno lusinghiere di quanto invece sia la cruda realtà della strada. E quali mezzi hanno i nostri amici per discernere quel che è vero e quel che viene fintamente creato dai media? Sicuramente meno del nostro ancora più assuefatto senso critico. E perciò spinti da questa meravigliosa chimera intraprendono viaggi faticosissimi, dolorosi, perdendo ogni sicurezza in una casa, lavorando come schiavi per sfamarsi e continuare la loro strada, attraversano stati interi, contando solo su se stessi, e lottando contro sfruttatori senza scrupoli pronti ad approfittarsene, stipandoli in relitti galleggianti, non risparmiandogli nemmeno il rischio (ormai familiare) di una morte atroce. La disperazione che li porta a tali pericoli la dice lunga sulle condizioni di guerra e miseria dalle quali fuggono. Rischiano la vita per poter di re di vivere finalmente. Ma a quale prezzo. L’ultimo ostacolo che gli si frappone è un mare di acqua. Apparentemente niente di più lontano dalla vita, in cui credono fermamente e alla quale sono attaccati come ad una mamma. La tappa più ardua del viaggio a cui sono giunti dopo mille peripezie, è quella che li separa dalla salvezza o dalla morte per annegamento. Hanno attraversato il loro inferno, hanno superato ostacoli che minacciavano sempre il raggiungimento della loro meta, conosciuto universi di paura e rovine, e non possono dirsi mai sicuri. Quello che, una volta gettati in acqua gli scafi, li attenderà sarà soltanto un nuovo punto di partenza, da cui ricominciare da capo un nuovo viaggio, una nuova avventura, una nuova vita. Partiti senza speranza di sopravvivere, hanno visto e incontrato faccia a faccia la morte, affrontandola e vincendola, rinascendo alla speranza di felicità. Speranza? Quale speranza si può trovare nei capannoni di immigrati dove ci parcheggiano in attesa di ordini? Felicità? Non vedo persone contente intorno a me a festeggiare l’approdo. Non vedo considerazione nello stato che ci ospita. Non vedo allegria nei volti dei morti sulla spiaggia. L’ultimo viaggio li ha portati, cullati in grembi di legno, a dover patire nuove pene d’inferno. Dov’è la giustizia, dov’è la carità, la cordialità, l’ospitalità? Dove sono finiti quei valori di accoglienza e inclusione che hanno fatto un tempo la grandezza di un impero? Se pretendessimo noi  il rispetto che merita qualsiasi uomo, nei confronti anche dei Nostri antenati migranti (si veda l’ “America” kafkiano), dovremmo far subire loro le stesse sorti? Chi prenderebbe le tue parti se andassi in un paese ostile? A noi spetta il compito, ingrato oppure onorevole, di prendercene cura, di guidarli rettamente e di proteggerli nella loro nuova vita, florida di possibilità. Responsabilità che nessuno più vuole accollarsi per fedeltà al partito e per disinteresse manifesto. Umanità che è urgente risvegliare in noi. Nessun altro libro può insegnarci come vivere e far vivere in comunione di intenti, volti ad un ideale di società aperta, libera e sana. Ricordiamoci chi siamo. Ricordiamoci chi eravamo, e guardiamo a cosa possiamo diventare insieme. Senza arroganza e senza fraintendimenti, invoco la benedizione di tutti quei naviganti, che da tutte le epoche e tutti i paesi potevano dire alla luce delle stelle: mare Nostrum.

AP

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