Maurice Ravel – La Valse

youtube=http://www.youtube.com/watch?v=TMSgWhIENSk&w=560&h=315

L’analisi, l’evoluzione e la corrosione della danza, simbolo della frivolezza e delle mode dell’alta società borghese che accompagnò l’egemonia europea all’imperialismo, fino alla decadenza: il valzer viennese. Scritto tra il 1919 e il 1920, Ravel volle esplicitamente rappresentare una scena di patinata e regale fastosità, facendo sorgere come fantasmi, da una parete di nebbia, coppie di danzatori che ballano in un vasto immaginario salone viennese del 1855. L’effetto, reso musicalmente, è assolutamente realistico, quanto altrettanto impressionante è la degradazione e la corruzione del genere che il compositore registra con il suo tocco personalissimo e con magistrale orchestrazione. Lampi, bagliori di suoni, drappi di vesti svolazzanti, casché e tulle, che si trasformano vertiginosamente, trascinate dal ritmo, in maschere deformate della società fin de siécle, con tutti i suoi errori e contraddizioni.

Samuel Barber – Adagio for Strings

La storia di una vita è simbolicamente rappresentata senza false ideologie o circonvolluzioni metaforiche da questo Adagio, che in episodi separati ma unitamente legati dal tema conduttore (in minore) del canto della solitudine umana, dipinge l’esistenza come una sequenza grigia e monotona di ripetizioni invariabili e autoreferenziali. È un minuscolo gioiello del cantrappunto, dove le voci si inseguono cercandosi, volendosi trovare, il che avviene, esattamente, ad altezze celestiali, di quasi divina ispirazione, nell’epifania terrena del mistero universale, che appare giusto un momento, per poi dissolversi immediatamente, tanto la mente mortale è inadatta ad afferrarne il senso… La vita quotidiana ritorna, quindi, con la sua monotonia e le sue lentezze, memore del ricordo, ma impossibilitata a perseguirlo. Toscanini, il grande direttore d’orchestra, rimase tanto incantato dal brano (il secondo movimento del suo Quartetto in Si minore op.11) che chiese a Barber di trascriverlo per orchestra d’archi, per poterlo diffondere nei suoi concerti, cosa che effettivamente avvenne.

Cento anni di Sagra

Le Sacre du Printemps, modernismo e modernità.

Mi presento con questo modesto scritto di introduzione ad uno degli assolutamente più esemplari capolavori di Igor Stravinskij (1882-1971), in occasione del suo centenario dalla prima esecuzione a Parigi, il 29 Maggio 1913 al Théâtre des Champs-Elysées. Non credo serva accennare molto della storia sulla sua origine, né della faticosa e complicata messinscena, né del clamoroso scandalo che suscitò al pubblico esterrefatto. Basti dire, a sommaria introduzione, che il soggetto dell’iniziale balletto fosse la rievocazione di un rituale pagano della Russia primitiva, che sarebbe servito a propiziarsi le divinità della terra, sacrificando un’adolescente che avrebbe dovuto danzare follemente fino alla morte per trasmettere alla natura tutta la sua giovinezza. Purtroppo la coreografia si rivelò un totale fiasco, forse a causa dell’inesperienza di Nijinsky, primo ballerino dei Ballets Russes di A. Diaghilev, che debuttava come coreografo in un pezzo effettivamente troppo complesso e “irregolare”. Stravinskij stesso gli dovette insegnare i fondamenti di teoria musicale per aiutarlo. In quanto alla difficoltà e arditezza timbrica e armonica dell’opera, Le Sacre sbalordì anche i più famosi ascoltatori (celebre è l’aneddoto del compositore Saint-Saëns, che non riuscendo a riconoscere dal timbro lo strumento del tema di apertura, chiese al suo vicino, e quando scoprì trattarsi del fagotto nel registro acuto, lasciò la sala oltraggiato). Le novità che inserisce sono assolutamente all’avanguardia molto più di quanto un orecchio educato armonicamente riesca ad apprezzare: tra ostinati ritmici, strumenti inconsueti (come il flauto basso), accordi martellanti, politonalismi, una fornita sezione percussiva, e antiche melodie lituane, è facile compatire il disorientamento delle povere signore impellicciate. Sicuramente, l’accusa di essere un’orgia di ritmi volgari, barbari, selvaggi e trascinanti, l’hanno quanto mai avvicinata ad un’idea di musica primitiva come la poteva essere concepita all’inizio del XX sec. (quando l’archeologia musicale non era ancora nata) benché non ci fosse minimamente alcun intento di ricostruzione storica, semmai di pura rievocazione.

Quel violento frastuono avrebbe potuto invadere la placida vita fin de siécle, e macchiarne la purezza con le sue oscenità. Cosa la rende oggi un capolavoro? Cos’è cambiato nel mondo della musica dopo quella prima esecuzione? Innanzitutto, l’opera non è separata dal suo contesto storico e artistico: il ritmo galvanizzante è lo stesso che i Futuristi auspicavano per il  roboante avvenire della velocità e dell’industria, la deformazione grottesca delle melodie e delle loro frammentazioni rispecchia il gusto cubista per la pluralità di prospettive, come pure la mescolanza di stili, timbri e tradizioni, che richiama sia Joyce, che sta appunto scrivendo in questo periodo il suo Ulysses (1922), sia A. Gaudì, visionario architetto di edifici organici ed originalissimi. L’anno precedente, inoltre, vide la prima esecuzione di un’altra opera, altrettanto rivoluzionaria, quale è il Pierrot lunaire op. 21 di A. Schönberg, (a cui assistette lo stesso Stravinsky) “manifesto” dell’espressionismo musicale, che imporrà una svolta decisiva nella musica contemporanea, ma in direzione opposta, antitetica, rispetto a Le Sacre. L’ambiente culturale è estremamente vivifico di esperienze avanguardiste: Kandinsky pone le basi dell’astrattismo con Lo spirituale nell’arte (1911), nel 1913 Duchamp espone la “sua” Ruota di bicicletta, il Cubismo inventato da Braque e Picasso ha già conquistato le mostre d’arte europee (e certo definire Le Sacre un riflesso di queste prospettive multilaterali non sarebbe un errore), e considerando che il mondo del subconscio venne violato e aperto al largo pubblico con L’interpretazione freudiana ben tredici anni prima, tutto ciò non può affatto considerarsi sintomo di fiacca intellettuale, ma appunto apertura, dinamismo, sete di novità ed espressione inquieta dell’altrettanto ansioso nuovo secolo.

Non è un caso, allora, che l’anno dopo, quando venne riproposta per la prima volta in forma di concerto, il pubblico straripante la riaccolse con il degno successo che meritava, tanto che gli stessi critici che biasimarono il balletto, dovettero ricredersi e confessare il loro errore. L’iniziale fiasco, quindi fu causato quasi certamente dall’inadeguatezza e incoscienza di Nijinsky nel comporre la coreografia, e dalla sorprendente musica inattesa dalle aspettative di un pubblico inesperto o certamente poco avvezzo a tali novità. Il conseguente successo della riproposizione in forma concerto, senza le distrazioni del balletto (anche se successivamente coreografi come Maurice Béjart nel ’70 e Pina Bausch nel ’75 resero magnificamente l’intenzione originale) consentirono una decisiva rivalutazione esclusivamente musicale, ed anche il pubblico ormai era del tutto cambiato. Si pone a cavallo di due secoli in grandissima opposizione che, sfregandosi l’uno contro l’altro, stridono insistentemente creando cacofonie e grezze macchie sonore raccolte minuziosamente in quest’opera viva e furibonda. Il motivo profondo che ha chiamato alla vita nei pensieri di Stravinskij quella scena fantastica e ancestrale, quella danza alla morte, quel rito pagano, è stato forse un’esigenza di smuovere le acque e creare del sano scompiglio, dare un volto ad una crisi culturale che si apprestava a manifestarsi e che inizierà presto a farsi sentire in tutta la società. Ha abbandonato lo stile favoloso del suo precedente L’Oiseau de Feu (1910) e, in un processo di continuo autosuperamento (come dimostrerà la sua successiva e prolifica produzione), si fa portavoce della sensibilità artistica immanente e contingente al periodo pre-bellico. Quell’Europa che si sacrificava in due delle guerre più atroci della storia, per degli ideali così vanesi come le ragioni di Stato di una politica imperialista al suo tracollo, non è poi stata così diversa dalla fantasia che prospettava il musicista, nella speranza latente dell’arrivo di una nuova primavera, di un nuovo futuro rigoglioso.

Omaggiamo, quindi, per festeggiare i suoi cent’anni, Le Sacre du Printemps proponendovela in una versione “artificiale” creata da smalin (geniale utente di YouTube, che fa di una restaurata tecnica grafica e visuale dello spartito un sondaggio delle possibilità di notazione e trascrizione in diagrammi di musiche “storiche” come pure in passato hanno tentato di scriverne Stockhausen, Hindemith, Berio, etc.) usando una traccia di Jay Bacal con suoni di strumenti registrati, e combinati per un effetto straordinariamente realistico,  nel quale si può certo cogliere sfumature e dettagli che nelle registrazioni tradizionali è raro trovare, anche con prezzi di produzione molto alti. È interessante anche rilevare come la resa illustrata delle singole linee melodiche renda visibili minuzie estetiche come i curiosi quadrati formati dai clarinetti nei glissandi (nell’episodio della Glorification de l’Elue). Che possa rilanciare il già tentato sistema di notazione grafico/figurativo? Che possa far rinascere l’interesse per i nuovi metodi di scrittura? Saremo curiosi di ricevere anche i vostri commenti.

Arepo Pantagrifus

Perché un giornale degli Artisti

Il blog che avete sotto il vostro magico puntatore,  e che state leggendo in questo momento è nato da un’idea, buttata lì senza neanche troppe speranze, in un pomeriggio di tarda estate, nel 2012, passeggiando per il centro di Vicenza, che poi è stata raccolta, rivalutata attentamente e coltivata fiduciosamente, fino a diventare lentamente un progetto concreto e tangibile. In origine si immaginava (qual è il fantastico potere dell’immaginazione!) di creare una rivista stampata che raccogliesse i lavori, scritti, poesie, racconti o articoli, che giovani ed esordienti scrittori o artisti di tutte le arti ci avrebbero mandato. Non che il fatto di vedere i propri testi circolare in edizioni stampate e disponibili a tutti, non dia una certa segreta soddisfazione narcisistica, ma, ammesso questo, la circolazione di idee giudicate da noi moderne, interessanti e originali, deve essere un’occasione di crescita e di rinnovamento che portiamo a tutti: società e cittadini. L’iniziativa di creare edizioni stampate sfumò rapidamente, per un infinito elenco di cause facilmente comprensibili. Tuttavia eravamo veramente così decisi e fiduciosi dei risultati che avrebbe potuto portare, che decidemmo di affidarci al mezzo globale par excellence: la rete dei blog, con tutti i suoi pregi e tranelli. Consci del rischio che si corre nella piazza multimediale, cercheremo per quanto ci è concesso di proteggere la privacy e i diritti di chi voglia condividere le sue opere e perciò di dar voce a ognuno che vorrà proporsi, rigettando qualsiasi fanatismo e radicalismo osteggiante e provocatorio. La pubblicazione dei testi è sotto la totale discrezione e il gusto (a che cosa sia il ‘bello’ moderno, cercheremo di rispondere prossimamente) della redazione. L’intenzione che vorremmo perseguire con questo ambizioso progetto è quello di poter fare e diffondere in qualsiasi modo cultura. Cultura che non deve per forza essere quella aulica delle accademie o che la tradizione impone debba essere rispettata, ma quella che riesca a colpire, con la sua vicinanza, l’immaginazione di chi gli si approccia. Ancor di più quando questa viene osteggiata, classificata, banalizzata, incompresa, trattata quasi come bene di lusso, bisogno in secondo piano, e non un necessario diversivo alla vita quotidiana, un bel sogno da svegli. Un momento per raccogliersi in se stessi e con il mondo contemporaneamente, potenziarsi, imparare, elevare la propria anima a qualcosa di più alto della propria lotta alla sufficienza, giacché “non di solo pane vive l’uomo”… Tutti quanti necessitiamo quanto mai in questo momento, non di bellezza, l’eterno rifugio, ma di riflettere sul perché del suo valore e della sua potenza. Simili astrazioni vi diverranno familiari, ma la preghiera che innanzitutto vi rivolgiamo ora è questa: se credete di avere del talento, per il quale volete battervi alla sua strenua difesa, e dimostrarvi per quello che siete veramente, non esitate a mandarci quello per cui avete sacrificato tutto, quello che avete potuto dare spremendo con l’anima il vostro cuore. (Deto en parołe sciete: no staxì darne casade! Grasie!)

LA REDAZIONE
Arepo Pantagrifus
e
Berego Enedoro